Quel che manca a quasi tutti i nostri politici: capacità di riflessione, di comunicazione, di mediazione
La capacità di riflettere approfonditamente prima di intraprendere una qualsiasi azione e quella di identificare punti di convergenza anziché punti di scontro non sembrano appartenere al bagaglio culturale della nostra classe politica e, purtroppo, neppure a molti opinionisti i quali, nell'era della comunicazione in un click hanno l'enorme responsabilità che deriva dalla possibilità di raggiungere milioni di cittadini in un attimo, influenzando la loro visione del mondo.
Mi riferisco al problema delle pensioni di anzianità e al martellamento continuo che viene fatto nella direzione di una loro eliminazione.
Non voglio entrare qui ulteriormente nell'analisi della effettiva necessità e eticità di questa riforma perché ritengo di averlo già fatto molto approfonditamente in altri articoli, vorrei invece entrare nel merito delle modalità utilizzate nell'approcciare il problema da parte appunto delle categorie citate.
I contorni del problema sembrano essere chiari a tutti, ma vale la pena di ricapitolare i punti fondamentali:
- L'INPS non ha un deficit derivante dalla gestione dei lavoratori dipendenti.
- Le pensioni di anzianità, con i 40 anni di contributi oppure anticipate, con le quote, vengono accedute a stragrande maggioranza dai lavoratori dipendenti.
- Il sistema pensionistico che le comprende è, per plurime affermazioni da fonti autorevoli, stabile nel presente, così come nel medio e nel lungo termine.
- I lavoratori che accedono ai pensionamenti anticipati lo fanno usualmente perché non possono, per motivi vari, arrivare ai 40 anni di contribuzione, che sono quelli che garantiscono il massimo della pensione.
- La spesa pensionistica dello Stato viene considerata comunque elevata e vista come una possibile fonte di risparmi a sanamento dei conti pubblici.
Bene, fissati questi punti di partenza ci si aspetterebbe, prima che fosse espressa una qualsiasi opinione o, peggio, che fosse intrapresa una qualsiasi azione, che venissero effettuati alcuni passaggi logici; ad esempio:
- Poiché la grandissima maggioranza delle pensioni di anzianità è di pertinenza del fondo lavoratori dipendenti, riformare le pensioni di anzianità significa di fatto riformare quasi unicamente le pensioni dei lavoratori dipendenti.
- Se il fondo dei lavoratori dipendenti è in attivo, come è, ciò significa che le entrate, anno per anno, superano le uscite e pertanto l'INPS da questo fondo ha un ricavo e non un costo. Pertanto se si vuole mettere mano alle pensioni dei lavoratori dipendenti occorre sapere e dire che lo si fa non per eliminare delle perdite, bensì per aumentare gli attivi dell'Ente in questo settore.
- Ammettendo che questa operazione venisse fatta, le plusvalenze generate nel fondo lavoratori dipendenti dell'INPS potrebbero essere destinate a riserva del fondo stesso per coprire pensioni future, ma ciò non andrebbe nella voluta direzione di risanare nell'immediato i conti dello stato, oppure utilizzate per diminuire i trasferimenti che ogni anno lo stato fa all'INPS a copertura delle altre pensioni. Ciò costituirebbe di fatto una riduzione dei costi dello stato ed è senz'altro quello che verrebbe fatto. Quindi la seconda conclusione a cui si può arrivare è che la riforma delle pensioni di anzianità andrebbe, con i relativi contributi in questo comparto, a coprire parte delle spese assistenziali attualmente sostenute dallo stato.
- Appurato che le risorse generate dalla riforma delle pensioni dei lavoratori dipendenti andrebbero a ridurre le uscite dello stato in un settore completamente diverso, si deve poi concludere che non sarebbero utilizzate in alcun modo per migliorare le pensioni future dei giovani, cosa che invece accadrebbe se le risorse risparmiate venissero accantonate in un fundo con questo scopo, ma, come detto al punto sopra ciò non è quello che servirebbe a migliorare il bilancio 2012 o 2013. Quindi è bene sottolineare ulteriormente che la riforma delle pensioni di oggi non influenzerebbe in alcun modo le pensioni del futuro.
Fin qui con la pura analisi dei dati e dei fatti, senza necessità di particolari capacità raziocinanti. Ci si aspetterebbe quindi da una classe politica dotata di normali capacità logiche che utilizzasse i media, che sembrano ben disposti a passare i messaggi richiesti in questo campo, per trasmettere i seguenti messaggi alla popolazione:
- Abbiamo più volte riformato il sistema pensionistico dei lavoratori dipendenti ed esso, senza ancora che siano a regime tutti i benefici delle riforme fatte, è ormai stabile e lo sarà anche in futuro.
- Ci sono però altre forme pensionistiche, a natura assistenziale, che necessitano di essere erogate per motivi sociali e per le quali lo stato spende miliardi di euro ogni anno.
- Allo scopo di ridurre i costi dello stato in un periodo economico difficile proponiamo di riformare le modalità di accesso alla pensione dei lavoratori dipendenti, allo scopo di generare risorse da utilizzare per le pensioni assistenziali in luogo delle erogazioni che lo stato fa ogni anno.
Messaggi di questo genere potrebbero essere accolti con più o meno favore da parte dei lavoratori dipendenti (probabilmente sarebbero accolti comunque sfavorevolmente) ma almeno non se ne potrebbe contestare la razionalità né la sincerità.
Una classe politica che avesse questo approccio dimostrerebbe quanto meno di avere la capacità di riflessione di cui parlavo all'inizio.
Venendo alla capacità di cercare punti di convergenza anziché di scontro, una volta comunicato il messaggio di cui sopra, occorrerebbe cercare delle soluzioni condivisibili e non andare allo scontro tentando di imporre delle misure restrittive.
Quindi occorrerebbe trovare delle forme incentivanti che facilitino la decisione dei lavoratori di posticipare la loro uscita dal mondo del lavoro. Secondo me ci sono almeno due modi diversi; il primo, che ho già proposto altrove, è quello di erogare in busta paga a coloro che avendo diritto alla pensione decidono di posticipare l'uscita, tutto il monte contributivo che verrebbe normalmente dato all'INPS, congelando però alla data di maturazione dei requisiti della domanda, il calcolo della pensione. I lavoratori con 40 anni di contribuzione, già raggiunto il massimo del valore della stessa potrebbero avere 1, 2 anni con una retribuzione lorda innalzata del 33%; i lavoratori con meno anni di contribuzione potrebbero optare, dove possano, tra l'uscita immediata (lo farebbero probabilmente quelli che non hanno alternative, gli estromessi dal mondo del lavoro o coloro che hanno problemi di salute) oppure la continuazione del lavoro in regime normale e cioè cumulando altra anzianità fino a raggiungere il massimo della pensione, oppure la continuazione a "pensione congelata" ma con un lordo del 33% più alto. Avrei una ferma convinzione che chi può opterebbe quasi certamente per la continuazione del lavoro. Ai fini INPS, che nel 2010 ha liquidato 174.000 nuove pensioni di anzianità il risparmio sarebbe notevole; ipotizzando una adesione del 50% dei lavoratori e una pensione media di 15.000/anno, l'INPS eviterebbe di erogare circa 1 miliardo e trecento milioni di euro all'anno in nuove pensioni.
La proposta alternativa, sempre incentivante, potrebbe essere quella di eliminare il tetto della pensione aall'80 % delle retribuzione media degli ultimi dieci anni e consentire a chi eccede i 40 anni di contributi di incrementare la pensione al ritmo del 2% all'anno.
In questo caso il risparmio per l'INPS sarebbe inferiore in quanto a fronte di ogni anno di pensione non erogata dovrebbe prepararsi a liquidare una pensione più alta del 2%. Con una aspettativa di vita di 80 anni, una uscita ipotetica a 61 anni, il risparmio di ogni anno verrebbe restituito nella misura del 2% degli ultimi stipendi per 19 anni e quindi circa il 47%della annualità di pensione risparmiata.
Questa possibilità interesserebbe solo i lavoratori con 40 anni di contributi; ipotizzando che siano la maggioranza dei 174.000 usciti per anzianità nel 2010, diciamo l'80% e che di nuovo circa il 50% di essi aderisse, il risparmio nel 2012 potrebbe essere di circa 1 miliardo di euro, a cui andrebbero però cumulati anche i circa 515 milioni di euro di entrate contributive che quei lavoratori e i loro datori di lavoro continuerebbero a versare, per un totale di circa un miliardo e mezzo.
Le maggiori uscite a cui l'INPS dovrebbe prepararsi negli anni futurivsarebbero invece il 47% del miliardo di euro di pensioni non erogate. Il saldo positivo totale sarebbe di circa un miliardo di euro. Credo che anche questo tipo di proposta avrebbe buone possibilità di essere accolta dai lavoratorie potrebbe essere abbinata alla precedente, generando una gamma di possibilità flessibili e senza costrizioni.
Ovviamente nessuna delle due proposte potrebbe essere utilizzata dai lavoratori in uscita dalla mobilità o in regime di contribuzione volontaria perché disoccupati, ma queste categorie dovrebbero comunque ragionevolmente essere protette anche nell'ambito di riforme imposte.
Non comprendo perché non sia possibile ricevere dai nostri politici e dai media analisi chiare e sincere e proposte che ci invoglino a partecipare anziché minacce che ci spingono a reagire.